Fabrizio Onida e Giorgio Sacerdoti – IlSole24Ore, 13 dicembre 2016
Passata la scadenza (11 dicembre 2016) del regime speciale concordato con la Cina in sede di accesso alla WTO nel 2001 come “economia non di mercato”, la UE deve decidere quali politiche antidumping seguire nel rispetto delle regole WTO. Serve un assetto realistico di difesa dell’industria europea dalle persistenti pratiche commerciali sleali del gigante asiatico in diversi settori (soprattutto acciaio, ma anche alluminio, prodotti di metallo, pannelli e componenti fotovoltaici, biciclette e altri). Pratiche commerciali spinte dagli enormi eccessi di capacità produttiva alimentata dai sussidi governativi, capacità che si scarica su esportazioni a prezzi di dumping dopo aver saturato la domanda interna cinese. Ad esempio, nel settore siderurgico la Commissione stima un’attuale sovracapacità cinese di 350 milioni di tonnellate, quasi il doppio della produzione annuale dell’intera UE!
La distinzione tra economie di mercato e non-di-mercato appare sempre più arbitraria e confusa, in un mondo in cui democrazie oligarchiche (es. Corea, Malesia, paesi del Golfo) convivono con regimi di “socialismo democratico” (Russia, Vietnam, Indonesia…), tutti nel perimetro di regole WTO che continuano bene o male a funzionare (rules of law). Queste regole non impongono una liberalizzazione degli scambi “a qualsiasi prezzo”. Dovremmo infatti ormai essere vaccinati contro il liberismo ideologico che ignora i costi sociali (Rodrik). Da sempre Il problema è un governo intelligente di una globalizzazione inclusiva.
L’Accordo Anti-dumping dell’Uruguay Round consente la protezione contro “unfair trade” (dumping e sussidi), a condizione che i presupposti dei dazi protettivi siano rigorosamente supportati da specifiche indagini da parte del paese importatore (onere della prova).
Venendo a cadere formalmente il particolare status di “economia non di mercato”, l’accertamento dell’esistenza di dumping non potrà più basarsi sulla scelta arbitraria di prezzi praticati da un paese terzo, approccio che peraltro la WTO ha bocciato più di una volta nella sua applicazione pratica, come nel caso di viti e bulloni (“EC Fasteners”). Ma ecco la proposta della Commissione UE: non attribuire lo “status di economia di mercato” a nessun paese, mantenendo tuttavia strumenti di difesa commerciale “giuridicamente più solidi e politicamente sostenibili”. Per difendersi dalla concorrenza sleale cinese si potrà continuare a non considerare i costi di produzione dichiarati dalla Cina, stabilendo invece caso per caso il “valore normale” del prodotto esportato, accertando parametri di riferimento “tra cui costi e prezzi in altre economie”. Per ovviare alle difficoltà di tale accertamento, che resta a carico dell’industria europea vittima del dumping, la Commissione “redigerà relazioni specifiche per paese o per settore dove sono identificate distorsioni”. Finchè le nuove regole antidumping non saranno approvate da Consiglio e Parlamento, continuerà ad applicarsi il vecchio regime. Attenzione: la Cina – come annunciato – ha già aperto un contenzioso contro UE e USA in sede WTO.
La proposta della Commissione UE ci pare interessante, anche perché potrebbe avvicinare la UE alla posizione americana. Gli USA da sempre rifiutano regimi speciali e arrivano a imporre dazi antidumping e antisussidio anche oltre il 250 per cento su certi prodotti siderurgici, colpendo peraltro anche talune esportazioni di acciaio italiano (Marcegaglia, Ilva).
Trump potrà peraltro riservare molte sorprese, anche arrivando a ipotizzare barriere discriminatorie contro takeovers di imprese americane da parte di gruppi cinesi (es. il passaggio di Aixtron chip manufacturer dalla controllata tedesca negli USA a Fujian Grand Chip). Ma su questo terreno Trump probabilmente sottovaluta il rischio di rappresaglie cinesi contro prodotti americani direttamente o indirettamente esportati in Cina, oltre che eventuali attacchi speculativi sul dollaro che possono non piacere al Congresso.
Non ci nascondiamo che restano ampi margini di incertezza circa l’applicazione pratica della proposta della commissaria Malmström, che almeno per ora non piace all’industria europea, ed è apertamente avversata dal ministro Calenda (Sole24Ore del 19 novembre).
Ma si noti che la stessa Commissione chiede che l’imposizione di misure restrittive sugli scambi non sia “contraria all’interesse della Comunità”. Sottinteso: vi sono settori europei (dall’automotive alla meccanica varia) contrari a dazi eccessivi sulle importazioni di prodotti intermedi a basso prezzo, dazi che penalizzano la propria competitività sul prodotto finito.