Fabrizio Onida (Sole24Ore, 23 settembre 2021)
Il Sole del 10 settembre ha pubblicato un’ ottima notizia per il futuro dell’industria italiana avanzata:la sigla di un accordo tra Prelios e Italvoltper la cessione dell’area ex-Olivetti di Scarmagno, vicino a Ivrea, in vista della costruzione di una giga-factory da 4mila posti di lavoro per la produzione di batterie a ioni di litio (Li-ion) per veicoli elettrici. Da quando, all’inizio degli anni 2000 l’Olivetti in crisi decise di abbandonare la produzione in Italia di personal Pc, l’area di Scarmagno era entrata in una lunga attesa di ridisegno del suo futuro.
Fortunatamente la zona piemontese fra Ivrea e Torino conserva molte caratteristiche fisiche e umane da tipico distretto produttivo tecnologico a vocazione principalmente elettronica ed elettromeccanica. Caratteristiche che periodicamente vengono monitorate da un apposito Osservatorio a cura di IntesaSanPaolo diretto da Gregorio De Felice.
Le batterie Li-ion sono solo un esempio di quei settori dominati dalle “nuove tecnologie chiave abilitanti” su cui la Commissione europea da tempo sollecita l’attenzione dei governi nazionali e delle istituzioni comunitarie per disegnare una “nuova strategia industriale”. Una strategia che parte dall’identificazione dei numerosi casi in cui l’Europa soffre ritardi nei confronti del Nord America, e crescentemente dell’Asia orientale (Cina, Taiwan, Corea del Sud), nello sviluppo di prodotti-processi-componenti essenziali ai fini di quello sviluppo green and digital che le recenti emergenze climatiche e sanitarie hanno portato in primo piano.
Le batterie al litio e le connesse nuove tecnologie sono asl centro delle azioni previste dalla European Battery Alliance lanciata nel 2017 per concorrere all’obiettivo di un’Europa climate neutral entro il 2050. Nel 2018 l’Europa disponeva soltanto del 3% della capacità produttiva mondiale di Li-ion, a fronte del 66% della Cina e del 20% di Giappone, Sud Corea e altri Paesi asiatici.
A un documento del marzo 2020 ha fatto seguito lo scorso 5 maggio 2021 un suo aggiornamento sempre intitolato “A new industrial strategy for Europe” accompagnato da numerose in-depth reviews dedicate ai casi dei Paesi membri.
Il tema della “dipendenza strategica” da potenze straniere va maneggiato con cura – non solo sul terreno della difesa e sicurezza – perché viviamo sempre più, in un mondo di fitta interdipendenza tra lavoro, capitali, servizi, conoscenze di Paesi diversi che sotto la potente spinta di Internet e della digitalizzazione pervasiva compenetrano la nostra vita quotidiana. In questo mondo così lontano dai miti autarchici, la sfida per l’Europa – e di riflesso per i grandi paesi membri come l’Italia – è quella di continuare a investire in capacità progettuale e manifatturiera per dotarsi di una maggiore “autonomia strategica”, cioè un minor fabbisogno di importazione da aree extra-europee di prodotti, servizi e componenti essenziali per la propria capacità di soddisfare con offerta competitiva la domanda domestica in materia di sicurezza, salute, ambiente, trasformazione digitale. Così facendo – come negli anni ’60 del Novecento suggeriva una brillante intuizione dell’economista svedese Staffan B.Linder – il Paese che indirizza le risorse produttive domestiche a soddisfare bisogni interni crescentemente sofisticati può realizzare economie di scala e percorrere curve di apprendimento, così da conquistare vantaggi comparati che prima o poi generano nuove esportazioni competitive verso il resto del mondo maggiormente sviluppato.
L’auspicato rilancio dell’area industriale ex-Olivetti con l’intervento massiccio di investitori esteri ci rimanda alla lodevole iniziativa della Commissione per incentivare ricerca e progettazione collaborativa nei cosiddetti IPCEI (Important Projects of Common European Interest). Nel dicembre 2019 la Commissione ha autorizzato il primo IPCEI sul tema delle batterie per autoveicoli, che coinvolge 17 imprese di 7 paesi membri, con un aiuto pubblico di 3,2 miliardi destinato a far leva per ulteriori 5 miliardi di investimenti privati. La Commissione ha già approvato un secondo IPCEI sulle batterie rivolto a 42 imprese localizzate in 12 paesi membri. Altri IPCEI su microelettronica sono in fase preparatoria.
L’attivismo della Commissione in materia di politica industriale e di autonomia strategica sollecita una riflessione e una proposta per cercare di accrescere in Italia la massa critica di capacità innovativa e potenziale competitivo del nostro sistema produttivo ricco di risorse scientifiche, ingegneristiche e umane, vitalissimo ma cronicamente disperso.
Non occorre evocare fantasmi di “ritorno alla programmazione”. Confindustria oggi potrebbe semplicemente offrirsi come terreno promotore di una iniziativa che chiami a raccolta i principali gruppi industriali e terziari a maggioranza di capitale italiano (che già oggi concorrono a larga parte della R&S svolta in Italia nei settori avanzati) per concordare alcune direzioni di “ricerca pre-competitiva” capaci di attingere agli attuali fondi pubblici italiani ed europei), collegandosi ovviamente ai citati IPCEI Penso a un ampio tavolo di lavoro che includa Finmeccanica-Fincantieri, Leonardo, StM, Enel, Eni, Snam, Telecom Italia, Stellantis, così come una dozzina dei maggiori gruppi italiani che operano nei settori di elettronica, automazione, meccanica, chimica, farmaceutica, agro-bio. Il gruppo di lavoro dovrebbe proporsi di allargare la partecipazione attiva al fitto tessuto indotto delle numerose PMI a vocazione science based (tassonomia di Pavitt). Sarebbe una proposta che prescinde dalle formali rappresentanze datoriali: un tavolo a geometria variabile, che si dia autonomamente un proprio snello e autorevole comitato organizzativo, magari sul modello tedesco dei Future Projects. D’intesa con Confindustria, il governo dovrebbe designare un esperto indipendente e autorevole a fungere da collegamento tra il comitato organizzativo e i ministeri competenti, in primis Mise e MEF.
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