Economia che va rilanciata coniugando scienza e mercato

Fabrizio Onida (Sole24Ore, 22 aprile 2020)

Se nel Regno Unito era chiaramente suicida l’iniziale proposta di Boris Johnson (già forzosamente rientrata) di scatenare la cosiddetta immunità di gregge” per governare il contagio, all’opposto in Italia rischia di essere autolesionista il blocco selettivo delle attività produttive su cui stanno lavorando la Task Force Colao Fase 2 e gli altri gruppi di lavoro con oltre 450 esperti. La “Tavola di riepilogo delle classi di rischio e di aggregazione sociale” finora circolata contiene come in un bollettino di guerra l’elenco dettagliato dei settori e sottosettori merceologici ATECO ancora attivi (pochissimi) o invece per ora “sospesi” (stragrande maggioranza delle industrie manifatturiere e larga parte dei servizi che provocano aggregazione spaziale del pubblico). Questo approccio pianificatorio, degno di un Gosplan d’altri tempi, rischia di paralizzare la sperata ripresa, analogamente a quanto accade nell’organismo quando nella circolazione sanguigna si moltiplicano patologiche microtrombosi che possono danneggiare cuore e cervello. Il PIL è notoriamente la risultante di innumerevoli interdipendenze tra microsettori a monte e a valle del sistema. La chiusura di molti anelli della catena produttiva

Bisogna intendersi. Nella prima emergenza il governo si è giustamente preoccupato di imporre misure di distanziamento nella vita quotidiana per circoscrivere ogni sorgente di potenziale contagio, cercando di assicurare nell’immediato solo la disponibilità di dispositivi medici e sanitari, generi alimentari, farmaceutici e di prima necessità. Ma subito dopo è iniziata l’identificazione delle specifiche attività ammesse a continuare produzione e distribuzione sul suolo nazionale, secondo non meglio precisati criteri di cautela nella trasmissione interpersonale e ambientale del virus.

Non ci vuole molto a immaginare quali effetti paralizzanti a catena comporterebbe un blocco, prolungato oltre poche settimane, dell’offerta di prodotti finali e intermedi su cui si regge il funzionamento dell’intera economia nazionale e da cui dipendono milioni di lavoratori e la vita di interi territori. E di quanto si aggraverebbero la già pesante recessione del PIL e la minaccia di seria crisi finanziaria da debito pubblico.

 Parliamo di tutta la produzione metallurgica, di meccanica elettrica e non elettrica (tranne pochissime produzioni come motori, batterie, macchine per l’imballaggio e macchine per carta e cartoni), dell’intera filiera elettronica, di larga parte della chimica, di tutti i mezzi di trasporto, di quasi tutto il comparto moda-abbigliamento e accessori-pelletteria e calzature-legno e mobilio.

E’ possibile e augurabile un altro approccio al problema, che altri paesi sembrano aver adottato. Innanzi tutto: a) confermare chiaramente le ragionevoli e scientificamente dettate “regole prudenziali orizzontali” di comportamento, all’aperto così come nei luoghi chiusi di fabbrica o ufficio (distanziamento fisico delle persone, mascherine ed eventuale vestiario protettivo, sanificazione di superfici e ambienti, controlli sanitari all’ingresso e all’’uscita); b) riorganizzare tempestivamente a livello nazionale e locale i servizi di trasporto pubblico e di logistica coerenti col normale flusso di persone da e verso i luoghi di lavoro, senza farsi condizionare dai confini amministrativi. E subito dopo, fermi restando divieti anche prolungati di eventi e attività che comportano inevitabili assembramenti di persone, lasciare al mercato (le singole imprese e le rispettive catene di fornitura) la scelta di se e quanto produrre e commercializzare. Naturalmente il tutto presuppone comportamenti coerenti delle persone, controlli pubblici e privati frequenti e un credibile sistema sanzionatorio dei comportamenti devianti.

Per evitare la trappola della peggiore recessione dell’ultimo secolo e assicurare condizioni base per la sostenibilità di giganteschi debiti pubblici occorre disperatamente rilanciare la crescita della produzione di beni e servizi, rispettando tutti gli insegnamenti che la scienza medica e le scienze sociali ci stanno impartendo in questa imprevedibile svolta della storia contemporanea.

fabrizio.onida@unibocconi.it 

Fabrizio Onida (Sole24Ore, 22 aprile 2020)

Se nel Regno Unito era chiaramente suicida l’iniziale proposta di Boris Johnson (già forzosamente rientrata) di scatenare la cosiddetta immunità di gregge” per governare il contagio, all’opposto in Italia rischia di essere autolesionista il blocco selettivo delle attività produttive su cui stanno lavorando la Task Force Colao Fase 2 e gli altri gruppi di lavoro con oltre 450 esperti. La “Tavola di riepilogo delle classi di rischio e di aggregazione sociale” finora circolata contiene come in un bollettino di guerra l’elenco dettagliato dei settori e sottosettori merceologici ATECO ancora attivi (pochissimi) o invece per ora “sospesi” (stragrande maggioranza delle industrie manifatturiere e larga parte dei servizi che provocano aggregazione spaziale del pubblico). Questo approccio pianificatorio, degno di un Gosplan d’altri tempi, rischia di paralizzare la sperata ripresa, analogamente a quanto accade nell’organismo quando nella circolazione sanguigna si moltiplicano patologiche microtrombosi che possono danneggiare cuore e cervello. Il PIL è notoriamente la risultante di innumerevoli interdipendenze tra microsettori a monte e a valle del sistema. La chiusura di molti anelli della catena produttiva

Bisogna intendersi. Nella prima emergenza il governo si è giustamente preoccupato di imporre misure di distanziamento nella vita quotidiana per circoscrivere ogni sorgente di potenziale contagio, cercando di assicurare nell’immediato solo la disponibilità di dispositivi medici e sanitari, generi alimentari, farmaceutici e di prima necessità. Ma subito dopo è iniziata l’identificazione delle specifiche attività ammesse a continuare produzione e distribuzione sul suolo nazionale, secondo non meglio precisati criteri di cautela nella trasmissione interpersonale e ambientale del virus.

Non ci vuole molto a immaginare quali effetti paralizzanti a catena comporterebbe un blocco, prolungato oltre poche settimane, dell’offerta di prodotti finali e intermedi su cui si regge il funzionamento dell’intera economia nazionale e da cui dipendono milioni di lavoratori e la vita di interi territori. E di quanto si aggraverebbero la già pesante recessione del PIL e la minaccia di seria crisi finanziaria da debito pubblico.

 Parliamo di tutta la produzione metallurgica, di meccanica elettrica e non elettrica (tranne pochissime produzioni come motori, batterie, macchine per l’imballaggio e macchine per carta e cartoni), dell’intera filiera elettronica, di larga parte della chimica, di tutti i mezzi di trasporto, di quasi tutto il comparto moda-abbigliamento e accessori-pelletteria e calzature-legno e mobilio.

E’ possibile e augurabile un altro approccio al problema, che altri paesi sembrano aver adottato. Innanzi tutto: a) confermare chiaramente le ragionevoli e scientificamente dettate “regole prudenziali orizzontali” di comportamento, all’aperto così come nei luoghi chiusi di fabbrica o ufficio (distanziamento fisico delle persone, mascherine ed eventuale vestiario protettivo, sanificazione di superfici e ambienti, controlli sanitari all’ingresso e all’’uscita); b) riorganizzare tempestivamente a livello nazionale e locale i servizi di trasporto pubblico e di logistica coerenti col normale flusso di persone da e verso i luoghi di lavoro, senza farsi condizionare dai confini amministrativi. E subito dopo, fermi restando divieti anche prolungati di eventi e attività che comportano inevitabili assembramenti di persone, lasciare al mercato (le singole imprese e le rispettive catene di fornitura) la scelta di se e quanto produrre e commercializzare. Naturalmente il tutto presuppone comportamenti coerenti delle persone, controlli pubblici e privati frequenti e un credibile sistema sanzionatorio dei comportamenti devianti.

Per evitare la trappola della peggiore recessione dell’ultimo secolo e assicurare condizioni base per la sostenibilità di giganteschi debiti pubblici occorre disperatamente rilanciare la crescita della produzione di beni e servizi, rispettando tutti gli insegnamenti che la scienza medica e le scienze sociali ci stanno impartendo in questa imprevedibile svolta della storia contemporanea.

fabrizio.onida@unibocconi.it 

Economia che va  rilanciata coniugando scienza e mercato

Fabrizio Onida (Sole24Ore, 22 aprile 2020)

Se nel Regno Unito era chiaramente suicida l’iniziale proposta di Boris Johnson (già forzosamente rientrata) di scatenare la cosiddetta immunità di gregge” per governare il contagio, all’opposto in Italia rischia di essere autolesionista il blocco selettivo delle attività produttive su cui stanno lavorando la Task Force Colao Fase 2 e gli altri gruppi di lavoro con oltre 450 esperti. La “Tavola di riepilogo delle classi di rischio e di aggregazione sociale” finora circolata contiene come in un bollettino di guerra l’elenco dettagliato dei settori e sottosettori merceologici ATECO ancora attivi (pochissimi) o invece per ora “sospesi” (stragrande maggioranza delle industrie manifatturiere e larga parte dei servizi che provocano aggregazione spaziale del pubblico). Questo approccio pianificatorio, degno di un Gosplan d’altri tempi, rischia di paralizzare la sperata ripresa, analogamente a quanto accade nell’organismo quando nella circolazione sanguigna si moltiplicano patologiche microtrombosi che possono danneggiare cuore e cervello. Il PIL è notoriamente la risultante di innumerevoli interdipendenze tra microsettori a monte e a valle del sistema. La chiusura di molti anelli della catena produttiva

Bisogna intendersi. Nella prima emergenza il governo si è giustamente preoccupato di imporre misure di distanziamento nella vita quotidiana per circoscrivere ogni sorgente di potenziale contagio, cercando di assicurare nell’immediato solo la disponibilità di dispositivi medici e sanitari, generi alimentari, farmaceutici e di prima necessità. Ma subito dopo è iniziata l’identificazione delle specifiche attività ammesse a continuare produzione e distribuzione sul suolo nazionale, secondo non meglio precisati criteri di cautela nella trasmissione interpersonale e ambientale del virus.

Non ci vuole molto a immaginare quali effetti paralizzanti a catena comporterebbe un blocco, prolungato oltre poche settimane, dell’offerta di prodotti finali e intermedi su cui si regge il funzionamento dell’intera economia nazionale e da cui dipendono milioni di lavoratori e la vita di interi territori. E di quanto si aggraverebbero la già pesante recessione del PIL e la minaccia di seria crisi finanziaria da debito pubblico.

 Parliamo di tutta la produzione metallurgica, di meccanica elettrica e non elettrica (tranne pochissime produzioni come motori, batterie, macchine per l’imballaggio e macchine per carta e cartoni), dell’intera filiera elettronica, di larga parte della chimica, di tutti i mezzi di trasporto, di quasi tutto il comparto moda-abbigliamento e accessori-pelletteria e calzature-legno e mobilio.

E’ possibile e augurabile un altro approccio al problema, che altri paesi sembrano aver adottato. Innanzi tutto: a) confermare chiaramente le ragionevoli e scientificamente dettate “regole prudenziali orizzontali” di comportamento, all’aperto così come nei luoghi chiusi di fabbrica o ufficio (distanziamento fisico delle persone, mascherine ed eventuale vestiario protettivo, sanificazione di superfici e ambienti, controlli sanitari all’ingresso e all’’uscita); b) riorganizzare tempestivamente a livello nazionale e locale i servizi di trasporto pubblico e di logistica coerenti col normale flusso di persone da e verso i luoghi di lavoro, senza farsi condizionare dai confini amministrativi. E subito dopo, fermi restando divieti anche prolungati di eventi e attività che comportano inevitabili assembramenti di persone, lasciare al mercato (le singole imprese e le rispettive catene di fornitura) la scelta di se e quanto produrre e commercializzare. Naturalmente il tutto presuppone comportamenti coerenti delle persone, controlli pubblici e privati frequenti e un credibile sistema sanzionatorio dei comportamenti devianti.

Per evitare la trappola della peggiore recessione dell’ultimo secolo e assicurare condizioni base per la sostenibilità di giganteschi debiti pubblici occorre disperatamente rilanciare la crescita della produzione di beni e servizi, rispettando tutti gli insegnamenti che la scienza medica e le scienze sociali ci stanno impartendo in questa imprevedibile svolta della storia contemporanea.

fabrizio.onida@unibocconi.it 

Economia che va  rilanciata coniugando scienza e mercato

Fabrizio Onida (Sole24Ore, 22 aprile 2020)

Se nel Regno Unito era chiaramente suicida l’iniziale proposta di Boris Johnson (già forzosamente rientrata) di scatenare la cosiddetta immunità di gregge” per governare il contagio, all’opposto in Italia rischia di essere autolesionista il blocco selettivo delle attività produttive su cui stanno lavorando la Task Force Colao Fase 2 e gli altri gruppi di lavoro con oltre 450 esperti. La “Tavola di riepilogo delle classi di rischio e di aggregazione sociale” finora circolata contiene come in un bollettino di guerra l’elenco dettagliato dei settori e sottosettori merceologici ATECO ancora attivi (pochissimi) o invece per ora “sospesi” (stragrande maggioranza delle industrie manifatturiere e larga parte dei servizi che provocano aggregazione spaziale del pubblico). Questo approccio pianificatorio, degno di un Gosplan d’altri tempi, rischia di paralizzare la sperata ripresa, analogamente a quanto accade nell’organismo quando nella circolazione sanguigna si moltiplicano patologiche microtrombosi che possono danneggiare cuore e cervello. Il PIL è notoriamente la risultante di innumerevoli interdipendenze tra microsettori a monte e a valle del sistema. La chiusura di molti anelli della catena produttiva

Bisogna intendersi. Nella prima emergenza il governo si è giustamente preoccupato di imporre misure di distanziamento nella vita quotidiana per circoscrivere ogni sorgente di potenziale contagio, cercando di assicurare nell’immediato solo la disponibilità di dispositivi medici e sanitari, generi alimentari, farmaceutici e di prima necessità. Ma subito dopo è iniziata l’identificazione delle specifiche attività ammesse a continuare produzione e distribuzione sul suolo nazionale, secondo non meglio precisati criteri di cautela nella trasmissione interpersonale e ambientale del virus.

Non ci vuole molto a immaginare quali effetti paralizzanti a catena comporterebbe un blocco, prolungato oltre poche settimane, dell’offerta di prodotti finali e intermedi su cui si regge il funzionamento dell’intera economia nazionale e da cui dipendono milioni di lavoratori e la vita di interi territori. E di quanto si aggraverebbero la già pesante recessione del PIL e la minaccia di seria crisi finanziaria da debito pubblico.

 Parliamo di tutta la produzione metallurgica, di meccanica elettrica e non elettrica (tranne pochissime produzioni come motori, batterie, macchine per l’imballaggio e macchine per carta e cartoni), dell’intera filiera elettronica, di larga parte della chimica, di tutti i mezzi di trasporto, di quasi tutto il comparto moda-abbigliamento e accessori-pelletteria e calzature-legno e mobilio.

E’ possibile e augurabile un altro approccio al problema, che altri paesi sembrano aver adottato. Innanzi tutto: a) confermare chiaramente le ragionevoli e scientificamente dettate “regole prudenziali orizzontali” di comportamento, all’aperto così come nei luoghi chiusi di fabbrica o ufficio (distanziamento fisico delle persone, mascherine ed eventuale vestiario protettivo, sanificazione di superfici e ambienti, controlli sanitari all’ingresso e all’’uscita); b) riorganizzare tempestivamente a livello nazionale e locale i servizi di trasporto pubblico e di logistica coerenti col normale flusso di persone da e verso i luoghi di lavoro, senza farsi condizionare dai confini amministrativi. E subito dopo, fermi restando divieti anche prolungati di eventi e attività che comportano inevitabili assembramenti di persone, lasciare al mercato (le singole imprese e le rispettive catene di fornitura) la scelta di se e quanto produrre e commercializzare. Naturalmente il tutto presuppone comportamenti coerenti delle persone, controlli pubblici e privati frequenti e un credibile sistema sanzionatorio dei comportamenti devianti.

Per evitare la trappola della peggiore recessione dell’ultimo secolo e assicurare condizioni base per la sostenibilità di giganteschi debiti pubblici occorre disperatamente rilanciare la crescita della produzione di beni e servizi, rispettando tutti gli insegnamenti che la scienza medica e le scienze sociali ci stanno impartendo in questa imprevedibile svolta della storia contemporanea.

fabrizio.onida@unibocconi.it