Fabrizio Onida (Sole24Ore, 31.12.2020)
Stringono i tempi per i singoli governi europei che devono entro aprile 2021 presentare l’elenco dettagliato degli interventi di spesa previsti per l’utilizzo del “Piano di ripresa e resilienza”, sottoposto ad approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio Europeo. Non ha precedenti l’entità dei fondi che verranno messi a disposizione sul bilancio europeo (di cui 209 miliardi su 750 sono stati assegnati all’Italia) a integrazione delle risorse caricate ai bilanci pubblici nazionali. E’ dunque altissimo il rischio che, non solo ma particolarmente in Italia, si vada ad una corsa sfrenata di erogazioni a pioggia per accontentare il massimo numero di richieste da parte dei diversi collegi elettorali (constituencies), senza un coraggioso disegno di interventi mirati a intaccare i famosi nodi strutturali che frenano la crescita e ostacolano una efficace correzione delle inaccettabili diseguaglianze sociali.
Merita attenzione – più di quanta finora ricevuta – il recente documento “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid” firmato da Mario Draghi e Raguram Rajan co-presidenti del “Gruppo dei 30”, un organismo non direttamente politico (come il Gruppo dei 20), che dal 1978 riunisce due volte all’anno studiosi e uomini di finanza per dare consigli autorevoli e non-partisan ai governi del mondo.
Come da titolo, il rapporto si concentra sul ruolo che le imprese (pubbliche e private) giocano come attori centrali da cui dipende la qualità dell’offerta complessiva generata dagli investimenti che si vogliono rilanciare nel paese.
Il rapporto richiama all’inizio tre principi cardine (core principles) per disegnare le azioni post-covid:
- Focalizzarsi non su obiettivi di liquidità, ma sullo stato di salute delle imprese prevedibile nel medio-lungo termine.
- Cercare le migliori competenze (expertise) private per assistere il potere pubblico nel disegnare una allocazione efficiente delle risorse.
- Prevenire danni collaterali che possono derivare dal fallimento di grandi imprese provocato dal cambiamento della domanda di mercato, come il collasso difficilmente reversibile di tanti piccoli fornitori a monte della catena produttiva.
Ne discendono alcune indicazioni di azione, che provo a riassumere così:
- Agire tempestivamente per evitare che imprese sane in crisi di liquidità diventino presto insolventi. Ma al tempo stesso non distribuire aiuti a pioggia (indiscriminate lending), anche per conservare munizioni necessarie a fronteggiare future nuove emergenze. Prevedere la cessazione o il ridimensionamento dei sussidi di Stato quando vengono meno le ragioni che li hanno originati. Praticare politiche selettive (targeting), indirizzando aiuti alle imprese che appaiono vitali nel prevedibile contesto post-covid: quindi non tanto promuovere lo status quo del sistema produttivo, quanto favorire qualche processo di distruzione creatrice, in particolare alla luce delle due grandi linee di intervento lanciate in Europa (ambiente e clima, digitalizzazione).
- Non è il governo che deve scegliere i singoli vincitori e perdenti, bensì il mercato sostenuto dagli aiuti. Non va incoraggiata la sopravvivenza di imprese decotte (zombie firms), che non contribuiscono ad alimentare “buona occupazione” e “buon debito” mentre vanno ad alimentare la preoccupante crescita dei prestiti inesigibili (NPL).
- Nel disegnare nella massima trasparenza tale strategia di aiuti selettivi, la PA deve superare il complesso della propria autosufficienza e avvalersi delle competenze ed esperienze attinte dal settore privato: studiosi, intermediari finanziari, banche di sviluppo, gestori di fondi sovrani, pubblici funzionari, manager con solida esperienza. Il governo deve essere disposto a compiere scelte dure, anche impopolari.
- Lasciando operare le forze del mercato, il governo deve intervenire per correggere le situazioni di fallimenti dello stesso mercato (market failures) che generano pesanti costi sociali, ad esempio quando le imprese di minori dimensioni e minor potere di mercato registrano difficoltà di accesso al credito. Al tempo stesso occorre vigilare sui rischi di opportunismo e spregiudicatezza (moral hazard) da parte di imprenditori e dirigenti, rifiutando richieste di salvataggi di imprese che si sono sovraindebitate puntando sull’arrivo di futuri aiuti pubblici.
- La pesante crisi da Covid offre l’occasione per rivedere la normativa sul diritto fallimentare, che nella maggior parte dei paesi risulta inadeguata per accompagnare le necessarie trasformazioni dell’apparato produttivo.
Qualcuno penserà che le proposte del Gruppo dei 30 peccano di scarso realismo perchè sopravalutano la capacità dei governi di operare scelte razionali guardando al medio-lungo periodo e resistendo quando necessario sia alle lobbies dei “poteri forti”, sia alle pressioni populiste delle categorie imprenditoriali diffuse. Ma un eccessivo realismo genera una pericolosa rassegnazione all’esistente. Utilizzando strumenti come l’ACE, vanno privilegiate le imprese che si impegnano a crescere con il proprio capitale, anzi che utilizzare i fondi europei con “mentalità risarcitoria” (Carlo Bastasin su Repubblica Affari e Finanza del 28 gennaio).
La corsa al Recovery Fund fornisce un’ottima occasione per confrontarci con le scelte dei nostri vicini di casa, a cominciare dalla grande Germania spesso oggetto di malcelata invidia da parte dei nostri politici e amministratori.
fabrizio.onida@unibocconi.it