Fabrizio Onida (10 dicembre 2020)
Come risposta allo shock da Covid-19, la Commissione Europea ha proposto ai 27 paesi membri un piano d’azione che, come indica chiaramente la sua denominazione (NGEU: Next Generation EU), va ben oltre la logica dell’emergenza e della ripresa congiunturale (Recovery Plan). Come noto, secondo il Piano NGEU l’Unione potrà indebitarsi per 750 miliardi (con rimborso previsto entro il 2058) per erogare ai paesi membri trasferimenti a fondo perduto (390 mdi) e prestiti (360 mdi). Parallelamente Parlamento e Consiglio europeo dovrebbero approvare il prossimo Quadro Finanziario pluriennale 2021-2027 di 1100 mdi , interamente coperto da risorse proprie.
Oltre l’emergenza sanitaria emerge dunque una prospettiva di equilibrio di lungo periodo delle finanze pubbliche europee il cui “effetto sulla crescita potrà persistere anche oltre la fine del periodo di erogazione dei fondi, attraverso l’aumento della redditività del capitale privato e della produttività totale del sistema economico” (c.vo nostro) Testimonianza alle Commissioni riunite Camera e Senato del 1 ottobre di Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, che riprende le analisi del Governatore Ignazio Visco).
In questa visione dovrebbe dunque collocarsi anche la politica industriale nazionale ed europea (una parola non più “oscena” come ironizzava Romano Prodi allora presidente della UE). Una visione di politica industriale che – come direbbe Mariana Mazzucato sull’onda di una ricca letteratura che dai tempi di Schumpeter collega sviluppo e innovazione – non si limiti a regolare il mercato (“fix the market”), ma ambisca a condizionarne le libere scelte (“shape the market”) per dare una scossa al dinamismo dell’intero sistema produttivo (dalle grandi alle microimprese). Per l’Europa, ma in particolare per l’Italia che non tollera la rassegnazione al declino, questo significa mettere al centro della politica industriale l’obiettivo di sostenere gli investimenti non solo in capitale fisso ma anche in ricerca applicata, in software e formazione del capitale umano. Significa incentivare università, CNR, Enea e imprese partecipate dallo Stato a condividere con le imprese private progetti collaborativi di ricerca e innovazione che richiedono salti di qualità, con una maggiore scala d’azione rispetto alle imprese individuali.
Sono evidenti le implicazioni di questo grande programma per il ridisegno della politica
industriale anche nel nostro paese. Si pensi, ad esempio, al quarto degli obiettivi strategici del “Dispositivo per la ripresa e la resilienza” (Recovery and Resilience Facility), quando si tracciano due grandi linee guida di una politica industriale europea (Transizione verde, Trasformazione digitale), a cui andranno destinati rispettivamente i 37 % e il 20 % dei 672 miliardi assegnati al Dispositivo (che a sua volta assorbe il 90% dell’intero NGEU). I tempi sono stretti perché i paesi membri dovranno presentare entro il 30 aprile 2021 i piani dettagliati di interventi coerenti con quelle linee guida. Abbiamo fortunatamente decine di medie imprese impegnate su frontiere tecnologiche avanzate, talune già operanti entro veri distretti tecnologici (dalla meccatronica-robotistica alle biotecnologie per uso agricolo e medico, dalla farmaceutica alla chimica metallurgica, da plastiche-fibre ottiche a elettromeccanica di potenza, da fotonica a meccanica fine) che dovrebbero trovare una sponda di governo intelligente onde continuare a inventare il proprio futuro.
Bisogna abbandonare il tabù dei “piani di settore”di ormai lontana memoria. Il governo, chiamato oggi a indicare progetti credibili di utilizzo dei fondi europei, deve avere il coraggio di fare delle scelte che rafforzino le migliori capacità competitive espresse dal mercato, giocando un ruolo attivo nei cosiddetti “Progetti importanti di interesse comune europeo” (IPCEI), il primo dei quali (Batterie) può avere un impatto determinante per la “Transizione verde”. Distribuire a pioggia crediti d’imposta, sovvenzioni e credito agevolato, senza qualche meccanismo che stimoli sui singoli territori e in una logica di rete lo sviluppo di eco-sistemi innovativi, porta inevitabilmente a disperdere preziose risorse. Non porta efficacemente a “riaccendere i motori” (Gianfelice Rocca, 2014), oggi diremmo per la resilienza.
Potremmo fare nostre le parole con cui il governo francese presenta il Piano “France relance” con orizzonte 2030: “investimenti per trasformare il tessuto economico, piuttosto che riportarlo alla situazione prima della pandemia”.