Sovranità nazionale e investimenti diretti esteri (IDE) in entrata

Approfondimento in “L’Italia nell’economia internazionale”, Rapporto ICE 2018-2019, pp. 75-80.

Per diversi decenni il clima politico è rimasto sostanzialmente favorevole agli IDE. Neanche l’impatto della Grande Recessione post 2007 sui flussi mondiali di IDE ha interrotto il processo di forte integrazione Come documenta l’ultimo rapporto annuale dell’UNCTAD, ancora nel 2017 l’84 per cento delle 126 misure intraprese da 65 paesi nei confronti degli investitori esteri è risultato favorevole agli investitori stessi. [1]  [2]

Ma negli anni recenti è emersa una crescente sensibilità politica verso temi come: l‘impatto degli IDE sull’occupazione, il peso crescente di investitori con origine in paesi a economia mista e forte presenza di imprese a controllo statale (SOEs), l’aumento del numero delle controversie legate al regime degli IDE  e una maggiore attenzione a possibili limitazioni di sovranità nazionale in campi strategici legati alla sicurezza.[3]

La posizione dell’Europa

Lo scorso 5 marzo 2019 il Consiglio UE ha approvato  la “Regulation of the European Parliament and of the Council establishing a framework for the screening  of foreign direct investment into the Union” (PE-CONS 72/18), che entrerà in vigore dopo 18 mesi dalla pubblicazione avvenuta iI 20 febbraio 2019. Il testo ricalca  da vicino l’omonima proposta che la Commissione UE aveva varato nel 2017 su sollecitazione di Francia Germania e Italia. L’art. 4 elenca uno spettro molto ampio dei fattori che devono essere presi in considerazione dai paesi membri o dalla Commissione nel processo di selezione dei progetti di IDE: a) infrastrutture critiche (fisiche o virtuali) come energia, trasporti, acqua, salute, comunicazioni, media, data processing or storage, processi elettorali, aerospazio, difesa, infrastrutture finanziarie; b) tecnologie critiche e dual use militare-civile, incluse intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, aerospazio, difesa, energy storage,  nano e biotecnologie, tecnologie quantum e nucleari; c) offerta di “critical inputs” come energia e materie prime fino a includere la food security; d) accesso a informazioni sensibili, inclusi dati personali; e) libertà e pluralismo dei media.

L’elencazione di settori e filiere non vuole essere esaustiva. Un’attenzione particolare scatta naturalmente quando l’investitore è direttamente controllato [4]da un governo straniero: tema recentemente sollecitato dal crescente ruolo della Cina come investitore internazionale non più solo nei paesi africani e latino-americani (approvvigionamento di materie prime agricole e minerarie), ma anche in settori manifatturieri e di servizi in Europa e negli USA. [5]

La Regulation nel suo preambolo al punto 4 richiama la facoltà dei paesi membri di derogare dal principio della libera circolazione dei capitali (art. 65(1) TFEU) per ragioni di “public policy or public security” e al tempo stesso al punto 6 ricorda che la materia degli IDE rientra nel campo della politica commerciale comune quindi di esclusiva competenza dell’Unione.

Ѐ lasciata comunque ai singoli Stati membri (art. 1 e 2) la decisione ultima su come condizionare, autorizzare  ed eventualmente proibire singoli progetti dell’investitore estero, anche se si auspica un’armonizzazione delle regole che verranno fissate a livello nazionale. A fronte di paesi come Germania. Francia e Italia nettamente favorevoli al mantenimento di criteri restrittivi, altri (come Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Portogallo, Spagna, Ungheria, paesi baltici, Malta) temono eccessive rigidità che possano scoraggiare l’afflusso di capitali esteri, in particolare dalla Cina.

Al momento solo 12 paesi su 28, tra cui Germania Francia e Italia, hanno un meccanismo formale di vigilanza per motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.[6]

La Commissione si riserva (art. 8)  di sottoporre agli Stati membri le risultanze di una propria indagine quando l’investimento estero tocca progetti titolari di importanti finanziamenti comunitari richiamati nell’Annex: i programmi satellitari Galileo ed EGNOS, il programma Copernico sull’osservazione della terra, i programmi di Trans-European Network (energia, trasporti, telecomunicazioni), i progetti di ricerca di Horizon 2020, il programma European Defence Industrial Development; la Permanent   structured cooperation (PESCO).

Uno speciale gruppo di esperti continuerà a operare presso la Commissione per monitorare l’applicazione della nuova Regulation (art. 12).   

 Uno studio commissionato nel 2017 dalla Danish Business Authority alla Commissione Europea[7], avendo censito una mappa dei flussi di M&A 2013-2016 provenienti da paesi esterni alla UE[8] aveva classificato i settori “potenzialmente sensibili” in tre categorie, da quella più ristretta (difesa, computer, infrastrutture di rete) a quella media (la precedente a cui si aggiungono trasporti terrestri e marittimi e le principali tecnologie dual use), a quella più larga (la precedente più attività estrattive, ricerca scientifica, altre tecnologie dual use come meccanica e autoveicoli, radio-TV-media, servizi postali). Nel 2016 il 55 per cento di tutte le M&As extra-UE risultavano appartenere alla categoria più larga dei settori potenzialmente sensibili, il 35 per cento alla categoria più ristretta.

Il rapporto danese non mancava di sottolineare possibili conseguenze negative di criteri troppo stringenti nel filtrare M&As nei settori sensibili: a) costi elevati e tempi lunghi per l’identificazione delle fattispecie critiche;  b) aperture di contenzioso con gli investitori esteri, col risultato di scoraggiare gli stessi anche quando il paese ospite avrebbe interesse a  favorire il loro contributo allo sviluppo. Il rapporto raccomandava ai governi un continuo aggiornamento dei criteri di monitoraggio e selezione, onde garantire la salvaguardia degli interessi nazionali senza scoraggiare l’ingresso di investitori esteri.   Il testo della Regulation ora approvato impegna i paesi membri a fornire alla Commissione un rapporto annuale che documenti le decisioni prese applicando i meccanismi di valutazione e selezione.  

Nel definire le regole con cui lo stato nazionale “sovrano” può mettere un veto all’ingresso di capitali stranieri nel proprio spazio economico-produttivo, resta difficile trovare il giusto equilibrio fra le ragioni della politica e gli interessi economici nazionali del business, del lavoro e della finanza. Sembra dunque d’obbligo la cautela suggerita dal citato rapporto danese alla Commissione UE. Si pensi tra l’altro alle profonde trasformazioni in atto nella geografia degli scambi internazionali, sotto forma di frammentazione (unbundling) dei processi produttivi multinazionali attraverso le cosiddette “catene globali del valore” per cui il contenuto di valore aggiunto dei beni finali è sempre più composto dalla combinazione di valore aggiunto dei più diversi paesi.

Le posizioni di singoli paesi UE

La Germania è considerata, particolarmente da fonti ufficiali americane, tra i paesi più attrattivi per gli investitori internazionali, a motivo di infrastrutture efficienti, alta qualità della manodopera, quadro normativo stabile, clima sociale positivo, forte propensione alla ricerca. Recentemente ha sollevato controversie il caso di Kuka (campione nazionale di robotica, fatturato di 3,0 miliardi di euro, 12.000 addetti) la cui maggioranza nel 2016 è stata ceduta per 4,5 miliardi di dollari ai cinesi di Midea da parte dei due principali azionisti privati Voith e Loh, nonostante preoccupazioni espresse dalla cancelliera Merkel e dalle maggiori case automobilistiche tedesche clienti della medesima Kuka. Un altro caso, relativo al  produttore tedesco di semiconduttori Aixtron, si è risolto da solo nel 2016, quando il Fondo cinese Fujian Grand Chip ha ritirato la propria offerta a seguito del divieto posto da Obama per la presenza nel gruppo di una affiliata americana.

L’agenzia pubblica GTAI (German  Trade and  Investment), per conto del Ministero  dell’economia e dell’energia (BMWi), segue da  vicino le proposte avanzate da investitori esteri per IDE greenfield o M&A. Dal 2008 al novembre 2016 il BMWi ha emesso 338 autorizzazioni (clearance certificates) e nessun divieto.

In linea con gli indirizzi della Commissione UE, il BMWi va man mano definendo i settori e segmenti sottoposti a sorveglianza per valutare potenziali minacce a sicurezza e ordine pubblico derivanti dall’ingresso di capitali stranieri.  Una lista recente include: a) infrastrutture critiche come energia, trasporti, acqua, ITC, finanza, assicurazione, salute; b) sviluppo di software rilevante per le medesime infrastrutture critiche; c) tecnologie di sorveglianza e telecomunicazione; d) cloud computing; e) alcune aree della telematica.[9]

 La Francia da tempo prevede autorizzazioni preventive a investimenti provenienti da aree extra-UE in una ventina di casi attinenti all’ impatto su sicurezza e ordine pubblico, tra cui: gioco d’azzardo (escluso il casinò), produzione di sostanze patogene o tossiche, intrusione digitale (wiretapping), componenti dual use, management di infrastrutture critiche (energia, acqua, trasporti, salute, comunicazioni elettroniche).[10]  Tuttavia, a seguito del tentato takeover di Alstom da parte di GE nel 2014, il governo ha emanato un decreto che lo autorizza a bloccare acquisizioni estere in casi di “industrie strategiche” e il decreto 2014-479 ha allargato la lista dei settori sensibili (energia, trasporti, acqua, telecomunicazioni, infrastrutture, salute pubblica).

 Il Ministero dell’Economia ha una lunga tradizione di negoziato con gli investitori internazionali, rafforzata dalla legge del 2004. La materia del negoziato include le strutture di ricerca, la sicurezza delle catene di fornitura, la partecipazione a pubblici appalti e l’impegno ad assicurare una continuità operativa nel futuro.

Recentemente ha fatto rumore la reazione del governo di Macron alla cessione della maggioranza dei cantieri navali Stx di Saint Nazare all’italiana Fincantieri da parte dei coreani precedentemente subentrati nel controllo della società.  Dopo l’iniziale minaccia di nazionalizzazione, Fincantieri ha concordato di restare con una quota del 50 per cento +1 nella nuova compagine azionaria, a cui partecipano lo Stato francese col 33 per cento, il Naval Group (azienda statale della Difesa, fatturato 3,7 miliardi) col 10 per cento, i fornitori dell’indotto della Loira col 4 per cento e i dipendenti del cantiere di Saint Nazare col 2 per cento. Resta curiosa la reazione tardiva del governo francese, che due anni prima (presidenza Hollande) non aveva ostacolato l’ingresso in maggioranza dei coreani, contribuendo a far nascere un gruppo europeo assai bene attrezzato per reggere la concorrenza asiatica nell’importante comparto delle navi da crociera, con opportunità di efficiente dual use civile-militare delle apparecchiature elettroniche.

 Nel Regno Unito il tema degli IDE è visto come un sotto-tema all’interno delle regole sulla concorrenza (Enterprise Act, Section 13 dell’Industry Act, che a sua volta rinvia al TFUE ). Il Secretary of  State può attivare con una “intervention notice” l’Autorità antitrust nazionale (CMA)   allo scopo di  verificare l’esistenza di un interesse pubblico associato a esigenze di: a) sicurezza nazionale; b) garanzie di pluralismo dei media; c) stabilità del sistema finanziario del paese. In tempi recenti l’attenzione del governo nei confronti di acquisizioni di controllo su importanti gruppi del business britannico si è allargata ad ulteriori casistiche.

Nel 2010 è stato oggetto di dibattito il takeover della dolciaria Cadbury da parte di Kraft Foods, senza che si aprisse una formale procedura di controllo. Quando, ad acquisizione avvenuta, Kraft ha annunciato il trasferimento di uno stabilimento in Polonia vi è stata una forte reazione della pubblica opinione, che ha indotto il governo a varare un emendamento al  Takeover Code che obbliga chi si propone di acquisire il controllo a fornire dettagli sulle prospettive future degli impianti.

  Il takeover della farmaceutica Astra Zeneca da parte dell’americana Pfizer, annunciato nel maggio 2014, è stato approvato dopo due anni di istruttoria mirata a proteggere gli investimenti britannici in R&S e ad evitare finalità di evasione fiscale. In un discorso del luglio 2016 Theresa May ha sollecitato il governo ad assumere maggiori poteri ed eventualmente impedire l’assunzione di controllo estero su “key British companies”, in particolare se fornitrici di beni e servizi al governo. Finora non si sono verificati casi di blocco all’acquisizione di “important manufacturing undertakings” da parte di azionisti esteri.

Nel 2007 governo inglese e Commissione europea sono intervenuti a garantire la salvaguardia delle capacità operative di difesa e delle relative informazioni sensibili a seguito del passaggio di controllo a General Electric della controllata britannica dell’americana Smiths Aerospace  Group Limited.

Nel settembre 2009 il governo ha approvato l’acquisizione dell’inglese Underwater Systems Winfrith (USW), divisione della QinetiQ fornitrice di attrezzature e software subacquei alle forze armate britanniche, da parte della tedesca Atlas Elektronik GmBH solo dopo aver ricevuto rassicurazioni circa il mantenimento nel Regno Unito delle attività di ricerca e produzione, l’obbligo di informazione preventiva su eventuali spostamenti fuori UK di capacità operative militari e l’inclusione di  un certo numero di direttori esecutivi cittadini britannici “security-cleared”.

 Il governo si è riservato una golden share (diritto di veto a ulteriori passaggi di controllo) nel progetto Hinkley Point C di costruzione di una centrale nucleare nel Somerset (2016), progetto finanziato dalla francese EDF controllata dallo Stato e per circa un terzo da due SOEs cinesi operanti nel settore. La Corte di Giustizia europea (CJEU) ha verificato che in questo caso non fossero violate le regole che presiedono il regime della golden share.

Nel maggio 2017 la CMA ha imposto una serie di indagini e controlli sulla protezione di informazioni sensibili a seguito dell’offerta di acquisizione del sistema radiofonico Sepura plc da parte della cinese Hytera Communications Corporation Ltd per 74 milioni di sterline. Sempre nel 2017, in nome del pluralismo nel mondo dei media,  si è aperta una lunga istruttoria circa l’acquisizione di una quota di controllo di Sky plc da parte della 20th Century Fox.

3.4. La Spagna è uno dei paesi europei caratterizzato da una maggiore penetrazione di capitali esteri nell’economia nazionale. L’industria dell’auto è pressoché interamente controllata da case non spagnole, da VW a Nissan, Renault, Daimler e altre. Le imprese multinazionali controllano metà della produzione alimentare, un terzo di quella chimica, due terzi di quella del cemento. Anche il settore bancario-assicurativo vede rilevanti quote di partecipazione da parte di azionisti non spagnoli. La legislazione spagnola non distingue fra proprietà di paesi UE e non-UE, salvo prevedere limitazioni agli investimenti UE solo in campo militare, mentre per gli investimenti extra-UE sono previsti regimi speciali per gli IDE anche nei settori radio-televisivo, del trasporto aereo e del gioco d’azzardo. In questi settori vale il limite del 25 per cento nel capitale (50 per cento nel caso di due o più imprese straniere).

Vi è un esplicito richiamo all’esigenza di reciprocità nel trattamento degli IDE nei paesi partners.

In Italia dal 2012 è entrata in vigore una normativa volta alla tutela degli assets nazionali con la clausola del Golden Power[11]. Tale normativa prevede che la Presidenza del Consiglio dei Ministri possa esercitare poteri di veto all’acquisto di partecipazioni o imporre particolari condizioni nei confronti di soggetti esterni all’Unione quando nei “settori strategici” (energia, trasporti, telecomunicazioni) si ravvisi “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza, al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. L’istruttoria per proporre poteri speciali è affidata al Ministero dell’Economia e delle finanze per società direttamente o indirettamente partecipate, al Ministero dello Sviluppo economico e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti  per le altre società.[12]

Alla possibilità di opporre un veto ad una partecipazione maggioritaria di Vivendi in TIM ha fatto riferimento l’allora ministro Calenda, mentre contemporaneamente l’Agcom invocava la Legge Gasparri per porre paletti ai diritti di voto di Vivendi nel capitale di Mediaset, tenuto conto del limite del 10 per cento che la stessa legge prevede per la quota di gestione di una singola società di telecomunicazione nel Sic (Sistema integrato di comunicazioni). In base alla regola del Golden Power lo Stato mantiene poteri di controllo sulle scelte strategiche di Telecom Italia pur senza disporre di quote azionarie, come invece avviene per le partecipazioni dirette (o tramite Cassa Depositi e Prestiti) in importanti gruppi come Fincantieri (72,5 per cento), Poste Italiane (64,7 per cento), Enel (25,5 per cento), Eni (30 per cento), Leonardo-Finmeccanica (30,2 per cento), Snam (30,1 per cento), Terna (29,85 per cento).

In Italia l’attenzione si è concentrata sui passaggi proprietari nelle reti energetiche e soprattutto di telecomunicazione, terreno politicamente sensibile. D’altro canto l’industria manifatturiera  ha visto negli ultimi anni un ingresso significativo di capitali esteri (alimentare, moda, meccanica, gomma, cemento…) e contemporaneamente il consolidarsi di una fortissima presenza di controllo estero in settori come chimica e farmaceutica. Il rapporto fra lo stock  totale degli investimenti diretti esteri in entrata e il PIL resta in Italia inferiore a quello medio dei paesi europei. Ma la grande frammentazione del tessuto manifatturiero, l’incalzare di passaggi generazionali nelle imprese familiari e la relativa scarsità di gruppi industriali di grande dimensione concorrono a stimolare l’attenzione dei capitali esteri verso l’acquisizione di pezzi significativi del “made in Italy”. Ciò genera inevitabilmente rischi e opportunità per lo sviluppo del sistema produttivo italiano nel contesto della concorrenza globale. 

La posizione degli Stati Uniti.

Un modello visto con interesse da alcuni paesi europei è il Committee on Foreign Investment in the US (CFIUS), che ai sensi dell’Omnibus Trade Act del 1988 assegna al Presidente la facoltà di limitare o impedire l’acquisizione dall’estero di imprese a capitale americano   per motivi di sicurezza nazionale.  Il Comitato, a cui partecipa una pluralità di dipartimenti e agenzie governative, esamina la documentazione fornita dai potenziali investitori, può richiedere vari supplementi informativi entro termini ravvicinati e formula in totale autonomia le proprie raccomandazioni al Presidente, il quale alla fine della procedura investigativa può bloccare l’operazione se ritiene che le riserve sollevate non siano state superate. Le competenze e i poteri del CFIUS sono stati riformulati dal Foreign Investment Risk Review Modernization Act (FIRRMA) approvato nell’agosto 2018. Sono sottoposti a scrutinio del Comitato non solo gli investimenti di controllo ma anche “any non-controlling investment, direct or indirect, by a foreign person (…) in substantive decision-making (…) regarding the use, development, acquisition, or release of critical technology”. La lista dei settori, delle modalità operative e delle 27 tecnologie critiche è chiaramente ispirata dalle crescenti preoccupazioni dell’amministrazione USA circa la penetrazione della Cina nei programmi che presentano ricadute dirette e indirette sulla sicurezza nazionale e in generale sui rischi di sfruttamento improprio delle attività acquisite da parte dell’investitore estero.

Nel 2016 il presidente Obama ha posto il veto all’acquisizione di un parco eolico nell’Oregon da parte dell’americana Rails Corporation affiliata della cinese Sany. Nello stesso anno ha bloccato l’acquisizione della sussidiaria americana della tedesca Aixtron SE da parte del fondo di investimento cinese Fujian Grand Chip Investment: un caso interessante in cui – per motivi di sicurezza –  un paese (USA) può opporsi all’ingresso di capitali esteri (cinesi) non in un’ impresa a controllo nazionale (USA), ma in un’affiliata nazionale di un gruppo a controllo estero (Germania).

Il 12 marzo 2018, premuto dal CFIUS, Trump ha bloccato il tentativo di takeover ostile di Qualcomm (leader nei semiconduttori)  da parte della singaporiana Broadcom, citando timori di una emergente leadership cinese nella nuova  tecnologia wireless 5G, perché Broadcom investirebbe meno di Qualcomm in questo campo. [13]

Prospettive per l’Italia

A differenza da paesi come Stati Uniti, Regno Unito e pochi altri, per l’Italia le nuove regole europee sembrano interessare non tanto per i beni e servizi legati a difesa e sicurezza, in cui il paese è largamente importatore netto, quanto per il controllo delle reti di telecomunicazione (in particolare con l’avvento degli standard 5G) e della rete energetica che devono garantire l’accesso anche nelle zone più remote. La presenza di SOEs tra gli investitori esteri già oggi e in futuro potenzialmente interessati al mercato italiano trova una certa reciprocità nella partecipazione diretta o indiretta (tramite CDP) dello Stato con quote minoritarie ma sfidanti in gruppi come Fincantieri, Leonardo-Finmeccanica, Enel, Eni, Snam, Ansaldo Energia, Terna.

Ma se guardiamo oltre le regole del Golden Power, e miriamo a massimizzare i benefici e ridurre i pericoli della globalizzazione economica e tecnologica per la società, vi sono probabilmente spazi per disegnare un intelligente moderno ruolo attivo dello Stato nel valorizzare e condizionare le scelte degli investitori esteri, già dal momento dell’ingresso nel mercato italiano fino alle fasi evolutive che ne segnano la storia. Una storia peraltro che, dall’unità d’Italia in poi,  è ricca di esempi quanto a contributo che numerose imprese multinazionali europee e americane hanno dato allo sviluppo delle capacità produttive e innovative del paese.

Non va certo proposta una ennesima Autorità in materia, servirebbe invece immaginare una Task Force (a composizione variabile secondo i settori coinvolti) di politici, amministratori pubblici, studiosi, osservatori indipendenti chiamati a monitorare e valutare l’impatto atteso delle operazioni proposte, per fornire al governo elementi di giudizio ed eventuali condizioni a cui subordinare l’autorizzazione e l’eventuale erogazione di incentivi previsti dalle leggi. Tra gli aspetti da monitorare e valutare vi sarebbero ovviamente una stima degli effetti attesi su importanti variabili come investimenti, volumi e qualità dell’occupazione, rapporti con fornitori e clienti, flussi di import-export.


[1] World Investment  Report 2018, Investment and New Industrial Policies, UNCTAD, Geneva 2018.

[2] Ogni anno la A.T Kearney pubblica un Foreign Direct Investment Confidence  Index, basato su questionari online  di un nutrito campione di imprese multinazionali, che registra limitati spostamenti nella graduatoria di attrattività dei primi 25 paesi. Nel 2018 l’Italia conquista la decima posizione, dietro ad Australia e Svizzera che pure avanzano nella graduatoria rispetto al 2017. Il clima di fiducia nei benefici attesi dagli IDE resta alto: l’80 per cento dei rispondenti si dichiara convinto che nei prossimi tre anni gli IDE rappresenteranno una variabile sempre più importante per la profittabilità e la competitività delle proprie imprese (A.T.Kearney Investing in a localized world”, The 2018 A.T.Kearney Foreign Direct Investment Confidence Index, p. 2.“)

[3] Cfr. ad esempio J.E. Alvarez e K.P. Sauvant,   con G.Vizcaino, (a cura di), The evolving international investment regime: expectations, realities, options, Oxford, Oxford University Press, 2011.

[4] Per “investimento di controllo” si intende almeno il 25 per cento dei diritti di voto.

[5] Preoccupazioni europee circa l’ingresso di capitali cinesi si sono manifestate  in occasione della vendita del Pireo alla Cosco, sotto pressioni esterne per l’alleggerimento del pesante debito pubblico greco.

[6] M Pignatti, Investimenti in Europa: perché vigilare, Aspenia Online, 6 marzo 2019

[7] Copenhagen Economics, Screening of FDI towards the EU, 2018. Una breve rassegna ravvicinata dei regimi dei singoli paesi è contenuta in Jones Day (One Firm Worldwide), Foreign investment control heats up: a global survey of existing regimes and potential changes on the horizon, White Paper, Washington, January 2018. 

[8] Lo studio copre 27.736 casi di M&As nella UE nel quadriennio 2013-2016, di cui il 60 per cento nei tre paesi maggiori Regno Unito, Germania e Francia, circa il 20 per cento in Paesi Bassi-Svezia-Italia e Spagna e il restante 20 per cento negli altri 21 paesi membri). La dimensione media delle operazioni di M&A risulta circa doppia rispetto a quelle degli IDE greenfield (67 vs. 33 milioni di euro). L’origine geografica delle M&As extra-UE vede al primo posto gli Stati Uniti con più della metà dei casi, seguiti da Svizzera, Russia e Cina. Nel quadriennio le SOEs, non solo cinesi, hanno pesato solo per  il 2 per cento del numero di M&As nella UE provenienti da paesi terzi, ma sono state particolarmente presenti in diversi settori considerati “sensibili” come public utilities (energia elettrica, gas, acqua), trasporti, finanza e assicurazioni. Nei settori trasporti e logistica le SOEs pesano per l’11 percento di tutte le M&A provenienti da paesi terzi, nei settori ICT per l’8 per cento.

[9] U.Goetker e A. Ningelgen, An update on foreign investment control in Germany, McDermott-Will&Emery, October 4, 2017.

[10] Alla prima legge 66-1008 entrata in vigore il 28 dicembre1966 sono seguiti la legge 2004-1343 del 9 dicembre 2004 e successivi numerosi decreti assorbiti nel Codice di moneta e finanza.

[11] Decr.L. 15 marzo 2012 n. 21 convertito in L.11 maggio 2012 n. 56.

[12] Una trattazione estesa delle problematiche relative all’uso del golden power in Europa e in Italia è in  R.Angelini,  Stato dell’arte e profili evolutivi dei poteri speciali: al crocevia del golden power, Astrid Rassegna, n. 8, 2018, n via di pubblicazione su “Rivista di diritto societario”.

[13] The Economist, March 17, 2018.