MIT Technology Review, 23.12. 2017
Automazione industriale e robotica interconnessa: uno dei non molti campi di alte tecnologie in cui il “Made in Italy” (assai noto per la fascia alta dei beni di consumo) si è affacciato – non da ieri – e sta coltivando importanti nicchie di competitività, in gara con le eccellenze dell’industria tedesca, inglese, francese e americana. Parliamo di marchi medio-piccoli a livello mondiale, come Comau e Prima Industrie – così come della SIR dell’Ing.Passoni di cui in questo numero della rivista – che poggiano su un entroterra “distrettuale” di piccole dimensioni, prevalentemente concentrato in alcune aree nelle regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Triveneto). E’ interessante che diverse ricerche empiriche che confrontano queste aree con alcune regioni leader europee, come Baviera e Baden-Württemberg, trovino un posizionamento di queste regioni forti italiane allineato, se non più avanzato, rispetto alle consorelle tedesche. Questo vale per indicatori come il rapporto R&S/prodotto lordo del settore privato, il numero di brevetti per abitante, le quote di mercato nelle esportazioni, la diffusione della manifattura additiva (si veda il primo convegno di Leigia (“Laboratorio sull’economia delle imprese di Germania, Italia e Austria” diretto da Augusto Ninni) a Parma, di cui sul Sole24Ore del 16 dicembre 2017).
Per non parlare della particolare eccellenza della italo-francese STMicroelectronics (pure illustrata dall’intervento dell’AD Carlo Bozotti), uno dei 4-5 giganti della microelettronica mondiale – con Intel, Micron, Infineon, Alcatel-Lucent – che partendo da una forte specializzazione nei circuiti integrati customizzati si è inserita come protagonista nella recente filiera dell’Industria 5.0, oltre che nella aspra competizione sui microprocessori per l’automobile e la telefonia mobile del futuro.
La nuova Industria 5.0 può forse essere vista come un salto qualitativo, o almeno una nuova potente proiezione avanzata delle informatica interconnessa di Industria 4.0: una frontiera dell’innovazione tecnologica in rapidissimo movimento che, combinando diverse Key Innovative Technologies (come nano e bio-tecnologie, sensoristica, Intelligenza Artificiale, IOT, realtà virtuale aumentata, cloud e mobile), realizza nuove soluzioni organizzative flessibili e interattive nei processi produttivi, passando attraverso una robotica interconnessa che auto-apprende, in un rapporto sempre più simbiotico con l’uomo. Un passaggio da robots passivi esecutori di compiti ripetitivi a sistemi automatizzati che recepiscono (learning) esperienza e conoscenze dell’operatore, il quale arriva a “collaborare” con il robot. Un sistema che si autoprogramma per interagire anche con oggetti mai visti in precedenza. Una interazione robot-ambiente che sfrutta capacità di “vista” (visione artificiale, realtà aumentata) e “tatto” del robot. Fino a sognare un robot che batta i massimi campioni in giochi a elevata interazione come il tennis da tavolo! Questo è uno scenario su cui starebbe lavorando il gigante tedesco Kuka nel quale – si noti con qualche preoccupazione – sta entrando la cinese Medea che ne ha rilevato dal tedesco Voith il 25% del capitale.
Gli scenari includono impieghi meno pacifici, come il programma americano MAST (Micro Autonomous Systems and Technology) che lo US Army Laboratory nel Maryland sta studiando per immaginare combinazioni di droni e robots monitorati in remoto capaci di penetrare linee di difesa nemiche seminando distruzione (Economist, 16 dicembre 2017, p. 68-9).
Gli entusiasmi per il rapido succedersi nel tempo di queste ondate di rivoluzione industriale, a poco più di 250 anni dagli albori della prima rivoluzione industriale nel mondo, non devono farci trascurare i rischi per il tessuto sociale qualora la politica macroeconomica e la politica industriale non si attrezzino per gestire le profonde ripercussioni sul mercato del lavoro e sui fabbisogni del sistema scolastico e universitario. Occorre guardarsi da tentazioni “luddistiche” che periodicamente affiorano nel linguaggio dei moderni populismi, ma anche dalla fede cieca nei liberi mercati che automaticamente si aggiustano trovando rapidamente ed efficacemente nuovi equilibri in presenza di shocks della domanda e dell’offerta. I governi devono invece lavorare di fantasia e di coraggio innovativo per mettere a punto vere politiche dell’istruzione e “politiche attive del lavoro” per accelerare la diffusione delle conoscenze, la formazione continua e la mobilità del lavoro tra imprese e settori.
I dati OECD sull’occupazione confermano che l’era digitale accentua il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, ponendo una sfida non facile ai governi: mentre il 6% degli occupati lamenta di non avere sufficiente formazione per svolgere adeguatamente le proprie mansioni, il 18% copre mansioni che richiedono capacità nettamente al di sotto della propria qualifica acquisita negli studi (in Italia il 35% degli occupati svolge un lavoro totalmente sganciato dalla preparazione ricevuta nel proprio curriculum dii studi).
Tornando a Industria 5.0, l’esperienza della SIR sinteticamente descritta dall’Ing. Passoni colpisce come emblematica dei rapidi progressi nella robotica industriale: una sorta di “sartoria tecnologica” che garantisce un controllo di elevatissima qualità (richiamando la più nobile esperienza artigianale, così radicata in molti territori italiani), una stretta collaborazione con i centri di ricerca universitari e non accademici, una attenta proiezione multinazionale anche da parte di una PMI.
Il tema delle frontiere dell’innovazione tecnologica sollecita una riflessione sulle prospettive di una politica industriale e dell’innovazione in Europa e in Italia.
Il recente varo del programma “Industria 4.0” (da qualcuno ribattezzato “Impresa 4.0”) inietta una forte dose di incentivi fiscali automatici “orizzontali” mirati a rilanciare gli investimenti dopo la paurosa caduta di circa il 30% nella crisi 2007-2015 ed a promuovere l’innovazione di processo e di prodotto. La gamma di strumenti include crediti d’imposta sulle spese addizionali in R&S, super ammortamento (140%) sull’acquisto di beni strumentali e iper-ammortamento (240%) per beni strumentali classificati come parti costitutive dell’economia digitale, sgravi contributivi sull’assunzione di personale qualificato, crediti d’imposta per spese aziendali in formazione tecnica e digitale, finanziamenti agevolati su investimenti in macchinari (nuova Sabatini)
Si tratta di un passo avanti importante per il disegno della politica industriale in un Paese ancora segnato dalla crisi degenerativa e successive privatizzazioni di larga parte dell’industria di Stato (anni ‘90), messo alla prova dall’ingresso nell’Euro dopo decenni di svalutazioni competitive, nonché disilluso dal fallimento di un precedente tentativo di intervento mission oriented nel 2006 (“Industria 2015”) per promuovere l’avanzamento tecnologico del sistema manifatturiero. E tuttavia bisogna guardare avanti, e chiedersi come integrare l’approccio degli incentivi orizzontali automatici di Industria 4.0 con un disegno capace di promuovere esperienze di Open Innovation (ricerca pre-competitiva) generando spinte verso l’aggregazione e l’interconnessione delle imprese, tanto più in un tessuto di partenza estremamente frammentato di industria e servizi. E altrettanto promuovendo esperienze concrete e pervasive di collaborazione tra imprese e il mondo della ricerca, cioè il processo di trasferimento tecnologico che riesce a superare la cosiddetta “valle della morte”, campo in cui primeggia il modello tedesco del binomio MaxPlanck – Fraunhofer Gesellschaft.
Sotto questo profilo basterebbe guardare da vicino le esperienze di politica industriale e dell’innovazione che da tempo stanno maturando in Europa, in cui il governo assegna una parte modesta delle risorse del bilancio pubblico alla realizzazione di decine di programmi di ricerca pre-competitiva in partnership pubblico-privata, prevalentemente finanziata in parti uguali fra governo, istituzioni pubbliche di ricerca e imprese. Sotto questo profilo vi sono forti rassomiglianze fra programmi diversi come i Progetti del futuro nella Neue High Tech Strategie tedesca, le Solutions Industrielles e i Pôles de competitivité francesi, i Catapult Centres inglesi. Tali programmi mission oriented coprono temi legati ai grandi drivers dello sviluppo nelle nostre economie avanzate (ma rilevanti anche per i mercati emergenti) come efficienza energetica e fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, città del futuro, manifattura additiva, medicina preventiva e bio-medicina, sicurezza alimentare, conquista dello spazio. Tutti temi che chiamano in causa le Key Enabling Technologies come sensoristica, nanoelettronica, fotonica, banda ultra-larga, nuovi materiali polimerici e ceramici, nano-biotecnologie, intelligenza artificiale.
L’esperienza dei Catapult Centres nel Regno Unito, ispirati dall’imprenditore Hermann Hauser e promossi dal 2011 dall’Agenzia pubblica Innovate UK ( 20 centri attesi entro il 2020, tra cui il primo concentrato sulla fabbrica automatica High Value Manufacturing Catapult) è segnalabile per la concretezza dei cinque criteri guida seguiti nel definire la scelta dei centri: a) dimensione notevole dei mercati potenziali globali; b) presenza di leadership riconosciuta del Regno Unito nella specifica area disciplinare; c) presenza nel paese di gruppi industriali (anche a controllo estero) già capaci di catturare importanti segmenti delle catene globali del valore; d) potenziale attrattività per attività ad alta intensità di conoscenza da parte di gruppi multinazionali a vocazione globale; e) coerenza con le priorità strategiche nazionali. Inoltre, come sempre si riscontra nell’impostazione dei programmi nel Regno Unito, impegno a periodiche verifiche di efficacia per un eventuale abbandono dei progetti non performanti.
Importante è il coinvolgimento del settore privato fin dalla fase di disegno dei centri e delle loro modalità di funzionamento. Governo e settore privato concordano nel costituire appositi business councils per trattare programmi di ricerca cooperativa pubblico-privata e organizzare alcuni Sector deals nelle aree tecnologiche obiettivo.